La luce che manca di Nino Haratischwili

Dopo aver amato immensamente L’ottava vita (per Brilka) non potevo che innamorarmi anche de La luce che manca di Nino Haratischwili. Una scrittrice che non fa sconti, che tratta gli argomenti con estrema crudezza, scavando a fondo negli animi dei protagonisti. Questa volta, al centro della storia abbiamo quattro amiche: Qeto, Dina, Nene e Ira. Siamo sempre in Georgia, a Tbilisi, e lo scenario è quello della lotta per l’indipendenza.

“E’ stato il canto orfico per eccellenza della mia generazione. Proprio noi, figli degli anni Novanta, che abbiamo barattato l’infanzia e l’adolescenza con i kalashnikov e l’eroina, proprio noi che abbiamo ascoltato Barry White e abbiamo desiderato l’amore eterno e i frutti esotici di quell’amore, il divertimento e l’ebbrezza. Proprio noi abbiamo lasciato che la musica continuasse a suonare. E l’abbiamo fatto sul serio! Sì, abbiamo lasciato che continuasse fino alla sua dolorosa fine”.

Qeto, Dina, Nene e Ira appartengono a quattro ceti differenti, ma questo non impedisce loro di diventare grandi amiche. Sono abili a curarsi le ferite le une con le altre, ma anche a sognare in grande, a sperare in un futuro diverso, di libertà, di amore. Dina è spericolata, è l’amica che spinge a fare pazzie. Qeto è quella che mette pace, sempre e comunque, mentre Nene è quella sottomessa ad una famiglia che non si potrebbe definire tale. Infine abbiamo Ira, l’amica pronta a battersi contro chiunque per ottenere giustizia.

La sconosciuta, Ivan Kramskoj 

“Sì, probabilmente hai ragione. Eri tu che mantenevi l’equilibrio, che ti preoccupavi per tutti, ti spremevi le meningi, ti consideravi responsabile per tutti. Dev’essere stato difficile…”.

Le quattro trascorrono l’infanzia e l’adolescenza in una Georgia violenta, crudele. Sono costrette a crescere in fretta, ponendosi domande alle quali non sanno dare risposte, ma convinte che la loro amicizia sia l’unica ancora di salvezza. Fanno di tutto per non perdersi, eppure un tradimento mette in discussione tutte le loro convinzioni.

“Ci sarebbero state molte altre vittime, ma ci siamo abituati, il tempo ha ammansito il dolore, il nostro sconcerto di fronte all’infinito orrore si era attenuato, sì, l’orrore si può anestetizzare, però la speranza rimane, simile a un drago a più teste, se ne taglia una e sulle sue spalle coriacee ne cresce una nuova”.

Si ritrovano trent’anni dopo, adulte, in un luogo lontano anni luce dalla loro Georgia, alla mostra fotografica di una di loro. Davanti a quegli scatti che ripercorrono anni di piombo non possono fare altro che tornare ai ricordi, alle sofferenze, ai lutti che hanno sconvolto le loro esistenze. E’ possibile scordare il passato? No, ma si può sempre perdonare, perdonarsi.

“E in quelle foto crudeli e spietate che documentano un fallimento umano assoluto, foto di morti e mutilati, fece percepire un silenzio freddo e orribile, come se quel mondo spettrale fosse un mondo di muti”.

Ragazza con le pesche, Serov

A cura di Fabrizia Volponi

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